uno dei più grandi poeti italiani del Novecento e premio Nobel per la Letteratura, era nato 125 anni fa.
Montale nacque a Genova il 12 ottobre 1896 in una famiglia borghese. Dopo essersi diplomato in ragioneria rinunciò a lavorare nell’azienda di famiglia e continuò a studiare da autodidatta, dedicandosi soprattutto al simbolismo francese, al pensiero filosofico di Nietzsche e Schopenhauer e appassionandosi ai romanzi di Italo Svevo. Fu arruolato nel 1917 per la Prima guerra mondiale e, una volta tornato a Genova, iniziò a pubblicare le prime poesie, segnate dall’esperienza al fronte e dalle quali emergevano riflessioni sulle dinamiche che regolano l’esistenza umana.PUBBLICITÀ
I primi scritti confluirono in Ossi di seppia, una delle sue raccolte di poesie più apprezzate e citate. Il titolo rimanda all’idea degli ossi di seppia che rimangono sulla spiaggia e segnalano la volontà di esprimere l’essenziale, dopo essere riusciti a isolarlo da tutto ciò che è superfluo. Montale già all’epoca dimostrò un chiaro rifiuto della poetica di Gabriele d’Annunzio, con la sua forte retorica e ambizioni ideologiche. Con le sue poesie, Montale cercava invece di mettere in evidenza verità più sommesse e nascoste dietro le apparenze, partendo dalla realtà quotidiana.
I versi «Spesso il male di vivere ho incontrato», tra i più famosi della raccolta, mostrano efficacemente il disagio esistenziale che accompagna l’opera e la ricerca di opportunità per superarlo. Ricorrono i riferimenti a una figura femminile, vagamente delineata con un «tu», nelle quali sono riposte le aspirazioni e le speranze del poeta, espresse sempre con uno stile duro e asciutto.
Spesso il male di vivere ho incontrato
era il rivo strozzato che gorgoglia
era l’incartocciarsi della foglia
riarsa, era il cavallo stramazzato.Bene non seppi, fuori del prodigio
che schiude la divina Indifferenza:
era la statua nella sonnolenza
del meriggio, e la nuvola, e il falco alto levato.
Dopo avere preso le distanze dal fascismo, nel 1927 Eugenio Montale si trasferì a Firenze dove entrò in contatto con diversi altri letterati italiani come Elio Vittorini, Salvatore Quasimodo e Carlo Emilio Gadda. Alla fine degli anni Venti divenne direttore del Gabinetto Vieusseux, importante istituzione culturale della città dalla quale sarebbe stato poi allontanato una decina di anni dopo dal regime fascista.
Fece conoscenza con la studiosa statunitense Irma Brandeis, con la quale ebbe una relazione e che fu ispirazione di numerose poesie contenute nella raccolta Le occasioni del 1939 e composte a partire dal 1926. Il titolo allude alla presenza in ogni poesia di una particolare occasione, un’improvvisa opportunità di cogliere una realtà diversa dalla quale derivare un senso.
Durante la Seconda guerra mondiale, Montale fu richiamato al servizio militare per un paio di anni. Nel 1943, circa un anno dopo il congedo, pubblicò la nuova raccolta Finisterre, questa volta in Svizzera per superare le censure imposte in Italia. In quel periodo Montale dovette affrontare la morte della madre, della sorella e la perdita di Irma Brandeis, che aveva deciso di tornare negli Stati Uniti. Alla fine della Seconda guerra mondiale, Montale si trasferì a Milano dove avviò una collaborazione con il Corriere della Sera.
Nel 1956 pubblicò La bufera e altro, una raccolta di poesie scritte nei quindici anni precedenti. Il titolo è un chiaro riferimento alla guerra, ma è anche un’allusione alle varie forme che può assumere il dolore durante l’esistenza di ogni individuo. Le violenze della guerra, le speranze del ritorno alla normalità e la delusione sono i temi principali della raccolta, con una figura femminile che rappresenta un’opportunità di consolazione e di nuova speranza. La guerra è quasi sempre evocata con le metafore, come l’inizio di processi malvagi e perversi.
A partire dagli anni Sessanta, Eugenio Montale ricevette numerosi riconoscimenti per le proprie poesie sia in Italia sia all’estero, fino al conferimento del Premio Nobel per la Letteratura nel 1975 «per la sua poetica distinta che, con grande sensibilità artistica, ha interpretato i valori umani sotto il simbolo di una visione della vita priva di illusioni». All’epoca fu il quinto italiano a riceverlo dopo Giosuè Carducci, Grazia Deledda, Luigi Pirandello e Salvatore Quasimodo.
Nei suoi testi, spesso polemici nei confronti dello sperimentalismo delle avanguardie, espresse in più occasioni l’importanza del poeta come primo responsabile nell’analisi e nella comprensione del presente. Si richiamò spesso all’importanza di un classicismo per rendere obiettiva e solida la poesia, senza cedere alle mode del tempo o alle esagerazioni sentimentali. Con i propri scritti Montale esplorò il desiderio di libertà, l’esperienza dell’amore in numerose forme e il rapporto con la natura. Le sue poesie mostrano inoltre la presenza di forze contrapposte, che obbligano al «male di vivere» e al tempo stesso offrono la speranza di una via di fuga, un’attesa di un evento miracoloso, in senso prettamente laico.
Eugenio Montale morì il 12 settembre 1981 in una clinica di Milano, un mese prima di compiere 85 anni.
Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale
e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino.
Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio.
Il mio dura tuttora, né più mi occorrono
le coincidenze, le prenotazioni,
le trappole, gli scorni di chi crede
che la realtà sia quella che si vede.
Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio
non già perché con quattr’occhi forse si vede di più.
Con te le ho scese perché sapevo che di noi due
le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate,
erano le tue.