Fracci è stata una delle ballerine più famose di tutto mondo, orgoglio milanese della Scala. Nata nel 1936 a Milano, nel corso della sua carriera si è esibita con i più grandi, da Nureyev a Baryshnikov.
La Fracci, Carla, Carlina o Fraccina, come la chiamarono tutti nel corso del tempo per la dolcezza intrinseca della sua espressione, è stata per tutti il simbolo della Scala, tra le figlie speciali di Milano la cui fama si è sparsa per il mondo che l’ha accolta nei sui migliori teatri gettando ai suoi piedi milioni di fiori. «Prendee anca questa questa, la ghà un bel faccin» disse nel 1946 la direttrice della scuola di danza, rendendo felice in primis Fracci Luigi, il manovratore che col suo tram linea 1 passava tutti i giorni davanti al Piermarini facendo scorta di speranza per la figlia. Amava il tango, il Luigi, e attraverso un amico di famiglia, fa entrare la sua Carlina, nata il 20 agosto 1936, alla scuola di ballo, dove inizia la vera fatica, ore giorni anni di dedizione assoluta a un’arte che deve essere rinvigorita ogni mattina.
Il debutto
Tanta danza, la sbarra,ma anche un po’ di aritmetica e latino e alcune apparizioni indimenticabili, come Margot Fonteyn, che diventa il suo idolo: saranno insieme in un Romeo e Giulietta a New York, una agli inizi e l’altra in finale di partita. Diplomata nel ’54, l’anno dopo è chiamata a far parte del corpo di ballo scaligero, balla in Le spectre de la rose con Mario Pistoni, proprio mentre la Callas debutta in Sonnambula con Visconti e Bernstein. E, come accade nelle migliori occasioni, dopo il «passo d’addio» avviene il colpo di fortuna. Alla Scala è in scena Cenerentola ma Violette Verdy, ètoile dell’Opera di Parigi, rinuncia ad alcune recite e la Fracci la sostituisce in un debutto trionfale il 31 dicembre ’55.
Un Capodanno che non si scorda mai.
La carriera
Dopo solo due anni dal diploma diviene solista, poi nel 1958 è già étoile della Scala. Fino agli anni ’70 danza con alcune compagnie straniere quali il London Festival Ballet, il Royal Ballet, lo Stuttgart Ballet e il Royal Swedish Ballet. Dal 1967 è artista ospite dell’American Ballet Theatre. La sua notorietà artistica rimane prevalentemente legata alle interpretazioni dei ruoli romantici come Giulietta, Swanilda, Francesca da Rimini, o Giselle, accanto a partner come Rudolf Nureyev, Vladimir Vasiliev, Henning Kronstam, Mikhail Baryshnikov e soprattutto il danese Erik Bruhn con il quale regala al pubblico un’indimenticabile interpretazione di ‘Giselle’ da cui nel 1969 viene realizzato un film. La Fracci nel 1964 sposa il regista Beppe Menegatti (da cui ha un figlio, Francesco) che sarà regista della maggior parte degli spettacoli da lei interpretati. https://ef557d3c73d968334d95592aa0a33e9b.safeframe.googlesyndication.com/safeframe/1-0-38/html/container.html?n=0
Alla fine degli anni ’80 dirige il corpo di ballo del Teatro San Carlo di Napoli assieme a Gheorghe Iancu e nel 1981 interpreta in tv il ruolo di Giuseppina Strepponi, la moglie di Giuseppe Verdi, nello sceneggiato Rai sulla vita del grande compositore di Busseto. Nel 1994 diviene membro dell’Accademia di Belle Arti di Brera. L’anno seguente è eletta presidente dell’associazione ambientalista “Altritalia Ambiente”. Dal 1996 al 1997 la Fracci dirige il corpo di ballo dell’Arena di Verona e nel 2003 le viene conferita l’onoreficenza italiana Cavaliere di Gran Croce. Nel 2004 viene nominata Ambasciatrice di buona volontà della Fao. Dal novembre del 2000 al luglio del 2010 dirige il corpo di ballo del Teatro dell’Opera di Roma, attività alla quale affianca la riproposta di balletti perduti e nuove creazioni sotto la direzione di Beppe Menegatti.
Il matrimonio con Beppe Menegatti
Intanto debutta anche la sua vita privata: l’11 luglio 1964 a Firenze sposa Beppe Menegatti, aiuto regista di Visconti e sei anni dopo nasce Francesco. Nella Spoleto di allora, con Gades, nasce una coreografia su musiche di Ravel e la Fracci apre la porta al mito dei veli che la rendono invisibile e impalpabile, «più leggera dell’aria e più lieve di un sospiro». La sua collaborazione con American Ballet Theatre (partner Erik Bruhn) è del ’74, mentre la Carlina diventerà direttrice del corpo di ballo di Napoli, dell’Arena di Verona dal ’95 al ‘97, della Scala, poi Roma e ancora la Scala, sempre con contorno di polemiche, ma Milano la elegge membro dell’Accademia delle belle arti di Brera. Le sfide della Fracci sono molte, spesso in collaborazione col marito che le fa da global manager, intuendone e sfruttandone ogni possibilità e nel 2002 la Carlina veste i panni di Amleto all’Opera di Roma in un ensemble di soli uomini.
La carriera di una grande ètoile è fatta dalla somma di indimenticabili serate d’onore in luoghi privilegiati del mondo e anche dalla memoria, un lungo filo di equilibrio sotto le luci dei riflettori, alla fine dei quali arrivano non solo le acclamazioni ma i distintivi di Cavaliere, Commendatore, Grand’ufficiale della repubblica. Carla è un mito, nato così, costante, semplicemente, dalla fatica quotidiana. Il poeta Montale la spiega così: «Carla Fracci è Giulietta…Carla, eterna fanciulla danzante». Il suo repertorio si allarga sempre di più: i tre classici di Ciakovskji (Lago dei cigni, La bella addormentata, Lo schiaccianoci), i tre di Prokofiev (Romeo e Giulietta, Cenerentola, Il fiore di pietra), oltre grandi titoli romantici e tardo romantici (La Sylphide, La gitana, La Pèri), Coppelia, il grande ballo Excelsior che nel ’60 Filippo Crivelli rilancia in uno spettacolo storico.
Il mito Carla Fracci
Ma la sua fama, la sua perfezione, la sua alata leggenda, non le impediscono decisioni fuori dal clichè, come il fatto stesso di avere un figlio, tradendo l’etereo mondo dei riflettori e dei passi a due. Lascia il ballo della Scala in nome della pluralità dell’espressione, va ad esibirsi sotto i tendoni dei teatri di periferia (scuola Paolo Grassi), si appella al presidente Napolitano nel 2012 perché salvi le scuole e i corpi di ballo in Italia. Muti, in nome della musicalità, la sceglie per molti Sant’Ambrogio scaligeri, perché è lei la Sarah Bernhardt della danza. Coglie il testimone di molte donne per sempre moderne e infelici, Gelsomina, Medea, Mila, Francesca da Rimini, la Zelda Fitzgerald. Quella piccolina in cui molti non credevano, danza l’Ave Maria di Schubert, si fa erede della Duncan, è un mito le cui colonne sono saldamente piantate nella terra nebbiosa lombarda: «Nel nostro lavoro – diceva – bisogna essere sempre nuovi e sempre rimettersi in discussione».
Oltre 200 personaggi
Dopo aver consumato migliaia di scarpine da ballo, le scarpette rosse del film amatissimo di Powell e Pressburger, aver percorso chilometri di palcoscenico, aver vinto tutti i premi possibili ovunque nel mondo, la Fracci fino all’ultimo ha sempre avuto voglia di rimettersi in gioco: è una forma d’arte esigente, ricordava, ma poi in palcoscenico si dimentica tutto. Poche settimane fa aveva partecipato alla docuserie in 12 puntate Corpo di ballo, sul dietro le quinte del balletto della Scala dopo il lockdown, prendendo a emblema la preparazione di Giselle, il più romantico dei balletti, uno dei suoi tanti cavalli di battaglia. Perché la Fracci nella sua carriera, oltre 65 anni, ha portato in scena oltre 200 personaggi come racconta in un’intima autobiografia che parte dalle nebbie padane.